Cass. civ. n. 11504/2017 e assegno divorzile: tanto rumore per nulla!

Cass. civ. n. 11504/2017 e assegno divorzile: tanto rumore per nulla!
05 Giugno 2017: Cass. civ. n. 11504/2017 e assegno divorzile: tanto rumore per nulla! 05 Giugno 2017

Tra le tematiche che più agitano gli animi (anche dei giuristi) va certamente annoverata quella afferente al mantenimento del coniuge divorziato.

Ad essersene occupata da ultimo Cass. civ. sent. n. 11504/2017, la cui pubblicazione ha sin da subito suscitato l’interesse dei commentatori che, con il ricorrente titolo “Addio al tenore di vita matrimoniale”, non hanno esitato a definirla una sentenza “storica”, dalla portata “rivoluzionaria”.

Protagonista della vicenda una donna, la quale, dopo aver visto rigettata nei primi due gradi di giudizio la domanda di assegno divorzile, aveva proposto ricorso per cassazione, lamentando in particolare come la Corte d’appello milanese non avesse verificato l’“indisponibilità” da parte sua “di mezzi adeguati a conservare il tenore di vita matrimoniale o la sua impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive”.

La Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso, ha colto l’occasione per dettare dei “principi di diritto” in tema di assegno divorzile.

Ha innanzitutto ricordato che, a seguito dello scioglimento del matrimonio ovvero della cessazione degli effetti civili dello stesso, “il rapporto matrimoniale si estingue definitivamente sul piano sia dello status personale dei coniugi, i quali devono perciò considerarsi da allora in poi “persone singole”, sia dei loro rapporti economico-patrimoniali … e, in particolare, del reciproco dovere di assistenza morale e materiale”.

Una volta “perfezionatasi tale fattispecie estintiva del rapporto matrimoniale, il diritto all’assegno di divorzio – previsto dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6 … – è condizionato dal previo riconoscimento di esso in base all’accertamento giudiziale della mancanza di “mezzi adeguati” dell’ex coniuge richiedente l’assegno o, comunque, dell’impossibilità dello stesso “di procurarseli per ragioni oggettive””.

La Corte di Cassazione ha proseguito sostenendo come la “piana lettura” dell’art. 5, VI co. L. 898/1970 mostri “con evidenza che la sua stessa “struttura” prefigura un giudizio nitidamente e rigorosamente distinto in due fasi, il cui è oggetto è costituito, rispettivamente, dall’eventuale riconoscimento del diritto (fase dell’an debeatur) e – solo all’esito positivo di tale prima fase – dalla determinazione quantitativa dell’assegno (fase del quantum debeatur)”.

Ha ritenuto “necessarie” tali “precisazioni preliminari”, perché “non di rado è dato rilevare nei provvedimenti giurisdizionali … una indebita commistione tra le due “fasi” del giudizio e tra i relativi accertamenti “, ciò che è avvenuto con riguardo al “tenore di vita matrimoniale”, indebitamente inteso, per “quasi ventisette anni”, come “parametro “condizionante” e decisivo nel giudizio sul riconoscimento del diritto dell’assegno”, anziché quale criterio per determinarne il quantum.

La Cassazione ha censurato quest’ultimo orientamento sulla scorta di molteplici “osservazioni critiche”.

In particolare, ha evidenziato che l’applicazione del parametro del “tenore di vita matrimoniale” nella fase dell’an debeatur collide radicalmente con la natura stessa dell’istituto del divorzio”, ripristinando “illegittimamente” il vincolo matrimoniale, in una “indebita prospettiva” di sua “ultrattività”, “sia pure limitatamente alla dimensione economica del “tenore di vita matrimoniale” ivi condotto”.

Non solo, si pone pure in contrasto con la mutata concezione del matrimonio, ora inteso come “atto di libertà e di autoresponsabilità, nonché come luogo degli affetti e di effettiva comunione di vita, in quanto tale dissolubile”.

La Corte di Cassazione ha, pertanto, ritenuto necessario individuare un “parametro diverso” dal “tenore di vita matrimoniale”, ravvisandolo nel “raggiungimento dell’indipendenza economica del richiedente”, in base  al quale “se è accertato che quest’ultimo è “economicamente indipendente” o è effettivamente in grado di esserlo, non deve essergli riconosciuto il relativo diritto”.

Ne ha rinvenuto l’“espressa base normativa” nell’art. 337-septies, I co. c.c., ritenendo che tale disposizione, che disciplina l’assegno di mantenimento per i figli maggiori d’età, possa essere estesa per analogia all’assegno divorzile, “trattandosi in entrambi i casi … di prestazioni economiche regolate nell’ambito del diritto di famiglia e dei relativi rapporti” ed aventi quale ratio il “principio dell’autoresponsabilità economica”.

Il Collegio si è pure preoccupato di dettagliare alcuni degl’“indici … per accertare, nella fase di giudizio sull’an debeatur, la sussistenza, o no, dell’indipendenza economica dell’ex coniuge richiedente l’assegno di divorzio”, individuandoli nel “possesso di redditi di qualsiasi specie”, nel “possesso di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari, tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu “imposti” e del costo della vita nel luogo di residenza”, nelle “capacità e le possibilità effettive di lavoro personale, in relazione alla salute, all’età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo” e nella “stabile disponibilità di una casa di abitazione”.

Ha, poi, dettato il regime della “prova della non indipendenza economica”, ponendola a carico dell’ex coniuge che fa valere il diritto all’assegno di divorzio, al quale “spetta allegare, dedurre e dimostrare di “non avere mezzi adeguati” e di “non poterseli procurare per ragioni oggettive” … fermo il diritto all’eccezione ed alla prova contraria dell’altro ex coniuge”.

Solo all’esito del positivo accertamento circa la sussistenza dell’an dell’assegno divorzile, il giudice del divorzio deve “tener conto”, nella fase del quantum debeatur - informata al principio della "solidarietà economica" dell'ex coniuge obbligato alla prestazione dell'assegno nei confronti dell'altro in quanto "persona" economicamente più debole (artt. 2 e 23 Cost.), il cui oggetto è costituito esclusivamente dalla determinazione dell'assegno, ed alla quale può accedersi soltanto all'esito positivo della prima fase, conclusasi con il riconoscimento del diritto -, di tutti gli elementi indicati dalla norma ("(....) condizioni dei coniugi, (....) ragioni della decisione, (....) contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, (....) reddito di entrambi (....)"), e "valutare" "tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio", al fine di determinare in concreto la misura dell'assegno di divorzio; ciò sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte, secondo i normali canoni che disciplinano la distribuzione dell'onere della prova (art. 2697 cod. civ.)”.

A ben guardare, i principi di diritto enunciati dalla sentenza della Cassazione appaiono tutt’altro che “rivoluzionari”.

Che il divorzio faccia cessare irreversibilmente il vincolo matrimoniale è dato assai scontato.

Che a seguito della sentenza divorzile i coniugi non siano più tali, bensì “singoli”, è parimenti ovvio.

Che l’assegno di divorzio abbia natura meramente “assistenziale” è oramai dato acquisito in dottrina ed in giurisprudenza.

Che il “tenore di vita matrimoniale” sia solo uno dei criteri per quantificare l’assegno divorzile, e non già per ritenerlo sussistente, è dato obiettivo ricavabile dalla piana lettura dell’art. 5, VI co. L. 898/1970.

Che, poi, di quest’ultima disposizione alcuni giudici abbiano talvolta fornito un’interpretazione distorta è un altro discorso, che non può però consentire di riconoscere un “révirement” giurisprudenziale, quanto piuttosto una scelta della Cassazione fra orientamenti contrastanti, tipica della funzione nomofilattica della giurisprudenza di legittimità.

Pertanto, l’eco mediatica formatasi attorno alla sentenza 11504/2017 della Corte di Cassazione ha sollevato … “tanto rumore per nulla”.

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